Riflessioni di un Carabiniere

Essere Carabiniere oggi

Nella sua imponente opera storico-documentale dell’Arma, il gen. di C.A. Arnaldo Ferrara, scrive: «Per Vittorio Emanuele I …doveva essere un Corpo nuovo, dalla valenza multipla e dalle attribuzioni particolari, ispirato ai principi di libertà, di riconoscimento pieno dei diritti delle popolazioni, di esaltazione dei valori dell’uomo ormai pienamente acquisiti dopo la rivoluzione francese».
Si era alle soglie del 1814 ed il 13 luglio 1814 furono promulgate le Regie Patenti che diedero vita all’Arma dei Carabinieri.
Ricordiamo che l’unità d’Italia era ancora lontana una cinquantina d’anni (i cicli temporali non erano così celeri come oggidì), ma il fondatore forse vi aspirava ed intravedeva nella nuova figura del Carabiniere il simbolo di uno stato nazionale Italiano e del custode integerrimo nella sua sacralità ed integrità.

E venendo a noi oggi, in questa società impastata di ipocrisia, trasgressione e malaffare; ebbene oggi, tra tutti, il Carabiniere è il più necessario anche se il meno desiderato da chi delinque e trasgredisce.
Non è facile quindi esserlo nella concretezza dei fatti poiché, al di fuori della schematica struttura sociale, imperversa una congerie di deviazione, delittuosità, frode; il più delle volte incentivata dalla favorevole circostanza rappresentata dalla mancanza di rigore e disciplina nello strumento di legge.
E non è facile pertanto per il Carabiniere destreggiarsi in un corpo sociale che, concedetemelo, sta indulgendo troppo verso la tolleranza e la benevolenza nei confronti di comportamenti trasgressivi e delittuosi nell’esagerata convinzione che la lievità della sanzione inflitta possa portare al ravvedimento.
A lui quindi riconosciamo “l’imponente fatica” di saper essere diplomatico quel tanto che basta a non dar l’impressione di essere il repressore, di esser capace di distinguere tra l’onesto cittadino ed il reo, di essere prontamente energico nella contingenza dell’accadimento, di saper utilizzare la sua arma con assoluta circospezione sì da evitare i rigori di legge (su di lui, ahimè, sicuramente inflessibili).
Il tutto spesso in una frazione temporale brevissima che, nel suo agire, può portarlo ad essere considerato negligente, complice od essere vittima del comportamento delittuoso altrui.       
Ebbene per saper essere Carabiniere, occorre nascerlo, come disse il nostro indimenticato gen. Dalla Chiesa “aver gli alamari cuciti nella pelle”, occorre avere dentro una forza d’animo incrollabile, portarsi dentro con fierezza il senso del dovere e della disciplina, essere consapevole che dalla sua autorevolezza e determinazione può compiersi il destino dell’onesto da lui tutelato.
Solamente così gli appostamenti interminabili, gli inseguimenti affannosi, le notti insonni delle guardie esterne, i pattugliamenti su strade assolate o fangose possono essere accettati con il dovuto spirito di sacrificio e con assoluta modestia: 

“Obbedimmo….!”

E’ il frutto della dedizione assoluta alla fede del “giuramento dato al tricolore”!

S.Podestà


La nausea degli abusati social web

E’ vergognoso e insopportabile l’abuso della diffusione attraverso social web di video registrati da soggetti non autorizzati o non appartenenti ad organi di stampa riproducenti azioni di polizia con la volontà di nuocere al buon nome delle FF.OO. ed al loro operato sempre e comunque  difficile e travagliato.

Un Paese che si paluda enfaticamente di “democrazia” dovrebbe garantire a tutti i suoi cittadini il rispetto integrale delle leggi che vengono promulgate ma soprattutto, a mio avviso, dovrebbe essere così forte da tutelare altresì coloro cui ne è affidata la custodia e l’applicazione, dotandoli di idonee protezioni ed autorità.

In altre parole l’operatore di polizia deve poter intervenire nei frangenti che lo richiedono con sufficiente imperio tale da riscuotere il dovuto rispetto, pur nella rigorosa e scrupolosa salvaguardia dei diritti del cittadino.

E giustappunto nell’occasione vorrei ricordare che appropriati strumenti legislativi sono stati predisposti a questo fine ancorché troppo trascurati e lasciati a margine, fors’anche sconosciuti ai più, ma che tengo ad evidenziare nell’intento che gli organi competenti siano sollecitati a diffonderne pubblicamente l’esistenza ed a sostenerne l’applicazione.

Nello specifico vorrei ricordare che:     

-L’Art. 114 C.P.P. comma 6-bis, vieta la pubblicazione dell’immagine di persona privata della libertà personale ripresa mentre la stessa si trova sottoposta all’uso di manette ai polsi ovvero ad altro …(omissis);

-l’Art 167 bis Codice Privacy, vieta la comunicazione e diffusione illecita di dati personali oggetto di trattamento su larga scala;

-l’Art.615-bis C.P.,  cita testualmente: “Chiunque, mediante l'uso di strumenti di ripresa visiva o sonora, si procura indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata svolgentesi nei luoghi indicati nell'articolo 614, e' punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni.
Alla stessa pena soggiace, salvo che il fatto costituisca piu' grave reato, chi rivela o diffonde, mediante qualsiasi mezzo di informazione al pubblico, le notizie o le immagini ottenute nei modi indicati nella prima parte di questo articolo.”

Fatte salve le sanzioni previste dalla legge penale, la violazione del divieto di pubblicazione, di cui agli artt. 114, 115 e 329 comma 3 lettera b) C.P.P.,  costituisce illecito disciplinare per gli esercenti una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato.

A mio avviso il divieto dovrebbe essere esteso, per similarità, al soggetto che ha effettuato la ripresa chiunque esso sia ancorché non appartenente a qualsivoglia ordine professionale d’informazione.

E’ una questione che di recente è stata sottoposta al sindacato della Corte di Giustizia dell’Unione Europea che con la sentenza del 14/2/2019 n. 345 ha chiarito alcuni dubbi.
Il prodromo è da ricercarsi nella direttiva U.E. n. 46 del 24/10/1995 che, all’art. 2, lett. a) definisce il dato personale come una qualsiasi informazione concernente una persona fisica identificata o identificabile.
In base a questa definizione la Corte di Giustizia U.E. definisce dato personale anche la registrazione audio-visiva di un soggetto qualunque in cui comprendersi anche l’appartenente alle FF.OO., purché risulti riconoscibile nel contenuto in questione.
Si deve allora evincere che l’attività di registrazione e di pubblicazione di dati di una persona identificabile costituisce trattamento di dati personali necessitante di regolamentazione e tutela, ed in relazione a ciò tali attività debbono considerarsi vietate, ivi includendo peraltro la persona dell’agente operatore di P.S. che ovviamente non può escludersi da siffatta tutela.
La sola circostanza in cui la Corte di Giustizia U.E. ritiene ammissibile la registrazione di video che mostra agenti delle FF.OO. durante lo svolgimento delle loro funzioni e la loro pubblicazione è solamente a scopo giornalistico informativo. E tale circostanza deve essere verificata dal giudice della nazione coinvolta, così come ribadito dalla Corte giustizia UE sez. II – 14/02/2019, n. 345.

Una differente finalità è pertanto inammissibile ed illecita! Per la quale voglio ricordare che la pena prevista consiste nella reclusione da 6 mesi a 3 anni, come citato all’art. 167 del Codice della Privacy, non disgiungendosi dalle relative implicazioni di carattere civile risarcitorio.
Nel nostro caso in esame l’agente operatore di P.S.oggetto di videoregistrazione o foto ripresa potrà richiedere al giudice la sussistenza del danno subito e la sua quantificazione come ribadito da Cass.Civ.sez. III, 15/07/2014, n.16133.

Mi sembrerebbe opportuno, a conclusione di questa dissertazione, che l’agente o Carabiniere che venisse a trovarsi in analoga situazione si rivolgesse ad un legale al fine di ottenere giusto risarcimento.

S.Podestà

 


Riflessione su un deplorevole aspetto della nostra società

Mi riallaccio all’articolo apparso su NOI RADIOMOBILE del 19 Febbraio 2019 che richiama con forza il doloroso problema del suicidio di numerosi appartenenti alle FFOO. Fenomeno sempre più rilevante fra gli organici, con un’incidenza di 9,8 casi ogni 100mila abitanti, includendovi anche i membri delle FFAA i cui numeri sono davvero preoccupanti: tra il 2012 e il 2016,  255 militari si sono tolti la vita(1).

Pur registrando che le iniziative ministeriali e dell’Amministrazione di appartenenza siano peraltro doverose, vorrei sottolineare che oggi sovente si tende a porre l’accento sull’intervento dello psicologo per la diagnosi del malessere ed il necessario supporto a colui che ne soffre.

Emerge dai citati articoli che gli elementi di maggior pericolosità siano riconducibili alla carica emotiva derivante dalla specifica attività e all’aggravante addebitabile all’ambiente gerarchico di appartenenza.

Riflettendo sul contesto sociale in cui viviamo mi sembra che la causa profonda sia da ricercarsi in ben altre ragioni purtroppo  tanto evidenti e sfacciate da farcele obliterare.

Vorrei richiamare alla memoria come era strutturata ed organizzata la società del secolo scorso a cominciare dalla prima scuola sino all’ingresso nella vita operativa in cui quanto appreso era lo strumento da impiegarsi individualmente sia in ambito civile che militare.

Allora la famiglia, per quanto modesta fosse, era il naturale ricetto ove ai figli venivano impartite le basi educative trasmesse da ancestrali eredità morali e comportamentali supportate da un altrettanto coerente stile di vita dei genitori.

Si apprendeva l’ubbidienza, il rispetto delle regole, l’impegno quotidiano, la sopportazione, la rinuncia. Ed erano principi che non implicavano alcun senso di insoddisfazione o ribellione poiché erano di comune condivisione nel contesto sociale di appartenenza, modesto per i più.

E' un dettaglio; ma ricordo ancora con struggente nostalgia la nostra maestra delle elementari che, a tutti noi schierati sull’attenti, faceva cantare l’Inno patrio.

Ricordo la mia breve esperienza militare, allora santamente obbligatoria, dove ferrea disciplina e fede patria si fondevano in un unicum additandoci “la via” in fronte al rischio e nella coscienza profonda di cittadino consapevole. E non mi si dica che oggi la leva obbligatoria mal si concilia con la professionalità richiesta dall’avanzata tecnologia bellica: il vecchio servizio militare serviva e serve a formare il cittadino! 

Una tale base educazionale era talmente introiettata nell’individuo da prevenire qualunque  deflessione in circostanze e condizioni le più gravose ed insostenibili. Non a caso il passato ci offre fulgidi esempi di sacrificio a tutti i livelli senza ombra di indecisione.

La motivazione forte supera qualsiasi ostacolo e senz’ombra di titubanza o rimpianto!

Oggi purtroppo siamo immersi in una società ipocritamente etica nella sua manifestazione pubblica ma profondamente immorale nella concretezza degli eventi privati e collettivi.

Gli individui sono sommersi da un’infinità di messaggi e sollecitazioni attrattivi verso una realtà “virtuale” che è superflua e priva di fondamento ma comunque istigatrice alla competitività su piani che implicano sovente la trasgressione di qualunque regola.

Nel nome di una smodata concezione di libertà e sull’altare della più sfrenata oclocrazia, smerciata come credo democratico, si commettono abusi, si giustificano comportamenti aberranti, si indulge verso i trasgressori, si impetrano grazie verso la delittuosità diffusa, si dispregiano valori spirituali e comportamentali, si tende a repellere l’autorità e la dignità del custode della legge.

E’ evidente così come desolante che anche un tutore dell’ordine in siffatta realtà possa soffrire di un complesso di inadeguatezza, concomitante preludio ad una caduta.

In un Paese dove FF.AA., FF.OO. ed il loro ruolo e rischioso impegno quotidiano (notte e giorno, feriali e non) sono relegati in fondo alla pagine della vita sociale, anche dai nostri politici che non se ne curano affatto se non in termini di visibilità elettorale qualora ne avessero il bisogno ed ancorché garantiscano loro la sicurezza interna ed esterna, non ci si può aspettare di meglio dai “giornalisti” di turno ed in particolare da certe figure che in omaggio all’attuale condotta di vita altro non sanno che “tentare” di ridicolizzare l’impegno di ISTITUZIONI sacre per un Italiano!

Cosa ci possiamo aspettare da una società che ha obliterato l’amor di patria, il senso del dovere, la disciplina, l’onore , la famiglia, sostituiti con un falso concetto di libertà ed in cambio della venerazione ai più stupidi simboli del materialismo e della demenzialità plurale.

…Stavo dimenticando oggi è più rispettabile essere “proud LGBT” che militare! 

Malinconicamente ritorno ad esaltare quell’attualismo (di gentiliana memoria) che riduce tutta la realtà a spirito e che, in quanto tale, induce “l’umano” ad opere superiori ed esaltanti nella consapevolezza di agire nell’interesse superiore della Nazione e nel pieno compimento del proprio dovere, senza nulla chiedere né aspettarsi.

E qui convergo sull’aspetto culturale che tale ipotassi richiederebbe coinvolgendo tutta la società a partire dalla famiglia che, pregna di una forte tensione morale su questa base ideologica, dovrebbe saper comunicare ai figli il senso di appartenenza alla nazione, la coscienza del dovere, la disciplina comportamentale, l’amore della Patria.    

Se non ci fermiamo ex abrupto la nostra società cadrà inesorabilmente nell’anarchia sempre ammesso che non si desti prima una poco amabile attenzione esterna verso il nostro Paese!

S.Podestà

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(1)Fonti:   FORZE ITALIANE  -   E.Morelli del 14 Dicembre 2018

 


Tratto da "NOI RADIOMOBILE" un videoclip che ci emoziona sinceramente!


Un memento dell'indimenticato gen. C.Alberto Dalla Chiesa

Tema professionale: RISCHIO TERRORISMO in ITALIA

Queste note vogliono essere un modesto spunto per la comprensione di un fenomeno che vede il diuturno impegno dei colleghi dell’Arma in servizio.

La premessa.

Nella terribile contingenza del fenomeno terroristico mondiale, di derivazione islamica, e particolarmente oggi in Europa, ci siamo chiesti spesso e spontaneamente quale fosse l’egida imponderabile che ci ha salvaguardato finora da tali sciagure.
Sarebbe troppo semplicistico l’accreditare tale successo all’opera di prevenzione del nostro apparato di sicurezza ancorché si debba riconoscere un’esemplare dedizione ed una profonda professionalità del nostro personale di polizia grazie al quale evidenti successi operativi sono stati conseguiti e nonostante, non dimentichiamo, l’esistente scarna dotazione di mezzi e personale, nonché dell’ambito operativo consentito dalla legge.
Mi sembra opportuno cercare di dare una mia personale interpretazione della tematica che trova immediata significazione nella radice etimologica del termine “terrorismo”  che, nel suo primo significato  «deve indurre sentimento e stato psichico di forte paura o di vivo sgomento in genere più intenso e di lunga durata».
A questo sono inscindibilmente correlati elementi di primaria importanza: l’agente terrorista, il suo obbiettivo, i suoi mezzi, la circostanza, il momento, che sono ignoti sino al compimento dell’atto.
Ma quando colpisce, l’eco dell’atto e le conseguenze debbono essere traumatici e sconvolgenti tanto da infondere nel pubblico un profondo sentimento di incertezza e paura, perdurante nel tempo.
Pertanto non stupiamoci “giornalisticamente” se gli obbiettivi sono persone inermi o fanciulli: l’effetto sarà ancora più dirompente.       

E’ adesso il momento di affrontarne l’origine e le sue dinamiche.

Siamo di fronte ad uno scontro, vorrei dire ideologico, di due criteri interpretativi di società e di stile di vita sociale.
Non vi è compatibilità con un’interpretazione della vita su base religiosa integralista quale quella islamica ad iniziare dal riferimento temporale che data l’anno 1438 in corrispondenza del nostro 2017.
Non è solo un problema di corrispondenza  di calendario. Ciò sta a dimostrare che qualsivoglia elemento basilare tra occidente cristiano e islam sia completamente incompatibile poiché mancante di radice relazionale e partendo da questo punto vi si possono innestare le differenze in tema di famiglia, religione, evoluzione femminile, tolleranza interreligiosa e sociale, abitudini  riti e costume, soprattutto per coloro, fondamentalisti islamici,  che idealizzano una società a governo teocratico assoluto.
Su questa base si è ulteriormente innestata un’incauta, non so quanto involontaria, azione di “pseudo-democratizzazione imposta” con una violenta campagna di ingerenza bellica perdurante da vari anni, da parte di Occidente e Russia, in paesi che di evoluzione democratica non sanno neppur cosa sia, ma certamente consona ad esigenze di equilibrio di potere ed interesse economico per ciascun soggetto belligerante.
Il risultato di questa politica è stato quello di alterare gli equilibri interni dei paesi coinvolti loro malgrado e di creare condizioni di invivibilità a prezzo di altissimi sacrifici in termini di vittime civili e di provocare incontrollabili ed ingenti movimenti migratori verso il continente europeo che apparentemente appariva in grado di assorbirli.
La storia attuale è cronaca nota ed oggi noi italiani ne stiamo subendo gli effetti numericamente più insostenibili e pericolosi.

Gli effetti e la possibile opera di prevenzione e contrasto.

Tornando alle dinamiche del terrorismo è del tutto evidente che popolazioni, per cause economiche o di sopravvivenza alla guerra, sradicate dal loro territorio di origine, giunte nel paese di ultimo approdo e non trovandovi quell’ideale accoglienza, forse troppo malevolmente pubblicizzata, covino profonda delusione non disgiunta da sentimenti predatori e di rivalsa.
Peraltro è intuibile, nonostante le smentite delle varie organizzazioni assistenziali e forze politiche, che tra di loro vi siano potenziali soggetti in grado di esprimere una volontà aggressiva di natura terroristica, una volta che entrino in contatto con altri elementi sobillatori.
Non è credibile che il potenziale terrorista sia riconoscibile “ante scelus” e soprattutto che porti in viaggio con sé delle armi, di cui potrà provvedersi successivamente e tramite canali che potrebbero essere ad esempio la criminalità locale.
E’ pur vero che in Italia ad oggi non si siano verificati fenomeni terroristici di rilevanza, forse perché all’interno dell’imponente flusso immigratorio è possibile il transito coperto, senza troppe difficoltà,  anche degli elementi pericolosi, per i quali, in caso di attentati e di un conseguente maggior rigore nei controlli, sarebbe poi quasi impossibile loro organizzarsi logisticamente.
Ed è altrettanto vero che, non avendo storicamente un trascorso di integrazione di popolazione extra europea nella fattispecie musulmana, pochi sono i casi di “domestic fighters” discendenti di seconda generazione.
Tutto ciò non preclude comunque che la costituzione spontanea di enclavi tra gruppi monogenetici possa dare adito all’insorgenza di atti terroristici in futuro.     
Comunque la dimostrata ingente pericolosità attuale consiste nella scelta dello strumento usato per l’atto delinquenziale-terroristico che ci pone di fronte ad un’ulteriore difficoltà nell’individuare un possibile attacco, poiché, come nei vari casi accaduti recentemente (Francia, Germania, GranBretagna), sono stati impiegati dei furgoni e delle autovetture, come massa inerziale di collisione,  impedendo “rebus sic stantibus” la preventiva identificazione dell’atto “in fieri”.
Forse un mezzo di prevenzione potrebbe essere il ricorso ad un’intensificazione dei controlli stradali mediante blocchi volanti nei centri urbani, particolarmente lungo le arterie che confluiscono verso luoghi di convegno pubblici di un certo rilievo (in occasione di partite sportive, manifestazioni canore, ecc.), identificando il conducente ed i viaggiatori sul mezzo, eventualmente perquisendo veicolo e viaggiatori, il cui comportamento ed atteggiamento difficilmente potrebbe sfuggire all’esperta valutazione dell’operatore di polizia.
E’ altrettanto vero che tali controlli influirebbero sulla fluidità della circolazione già così critica sulle nostra strade ma costituirebbero una misura di deterrenza notevole che dovrebbe essere condivisa dal pubblico in nome della sicurezza di ciascuno di noi.   
Dovrebbe in particolare essere incrementata l’azione di “cyber security” nella consapevolezza che la diffusione odierna dei mezzi di comunicazione cibernetica, consentendo un’estrema facilità di incontro virtuale, si offre peraltro come agevole mezzo di collegamento tra soggetti criminali.
Si dovrebbe pertanto avere la possibilità di tenere sotto costante controllo la massa di dati scambiati, con adeguato personale ed attraverso strumenti informatici in grado di filtrare dati e parole chiave “marcatori” di possibili atti criminosi.
Una speciale attenzione dovrebbe essere posta nel campo della telefonia mobile e di relative SIM e schede la cui labilità di traccia rende estremamente difficoltosa l’azione di controllo. Non è di molto tempo fa la scoperta della cospicua esistenza di tali accessori falsi o riciclati ad opera di soggetti malavitosi e, dato preoccupante, in possesso di immigrati irregolari.
Lasciatemi concludere dicendo che queste considerazioni dovrebbero essere estese anche a soggetti portatori di altri credo integralistici presenti sul nostro territorio nazionale, seppur con sfumature di pericolosità trascurabili e pertanto imponderabili al momento, ma non per questo sottovalutabili.

 Educazione sociale del Paese.

E’ una lotta comunque che, seppur  condotta con altissima professionalità e magari dovizia di mezzi, non può prescindere da una partecipazione convinta di tutta la popolazione, in condivisione profonda di valori etico sociali che debbono costituire la struttura della nazione in un vincolo indissolubile tra cittadini, forze dell’ordine e forze armate.
Una struttura che deve partire dal nerbo originale del tessuto sociale il cui ordito essenziale è la Patria e  la famiglia, il senso del dovere e l’onestà.
Elementi in assenza dei quali è facile scivolare in pericolose derive, spesso sottovalutate, che sono l’indifferenza, l’irresponsabilità, la derisione, in una troppo facile estensione interpretativa del senso di libertà.
E’ pertanto ineludibile che si ricominci dall’educazione dei fanciulli, nella famiglia e nella scuola, reintroducendo quei principi che i nostri padri ci hanno trasmesso e per i quali hanno accettato anche il sacrificio della vita su tutti i fronti.
Solo così si formerà un cittadino, convintamente patriota, cosciente dei suoi diritti ma incrollabile nel senso del dovere.
Conscio che l’altro cittadino in uniforme rappresenta l’unità della nazione e il suggello dell’ordine e della disciplina in un paese civile.
Naturalmente e profondamente pronto a cooperare per il mantenimento dell’ordine sociale attraverso la sua solidarietà con le forze dell’ordine e la partecipazione collaborativa in determinate circostanze.

S.Podestà

3 Giugno 2017